Il non-senso della vita
"Lui si limita ad osservare, a tentare di capire, come un qualsiasi spettatore, dietro il banco degli accusati, il suo processo. E viene condannato alla ghigliottina, che è poi la condanna dell’indifferenza che affligge l’uomo moderno"
dal sito www.dramma.it
C’è un profondo pessimismo, tradito da un atteggiamento di passiva indifferenza, nel Mersault, protagonista dell’adattamento di Marco Baliani di uno dei testi più inquietanti e coraggiosi del Novecento di Albert Camus, “Lo straniero”, pubblicato nel 1942 e che affronta senza mezzi termini il problema del non-senso della vita, dello smarrimento esistenziale dell’uomo moderno. La pièce, con coraggiosa ed intelligente operazione, è stata portata in scena dal Piccolo Teatro di Catania, con il progetto e la regia di Gianni Salvo e con i costumi di Oriana Sessa, fa penetrare lo spettatore nel dramma di un uomo che è poi l’uomo moderno, afflitto da mille contraddizioni, distratto da mille cose, mai sicuro. La scena, prigione dell’anima, ben rende l’idea della sofferenza, dell’inquietudine del protagonista Mersault, autore di un omicidio senza un movente plausibile, che trascorre in carcere l'attesa della propria esecuzione. In un atto unico, nell’adattamento di Marco Baliani, lo spettacolo rilegge il testo di Camus a ritroso, partendo dalla fine, dall’ultima notte del confuso Mersault, in carcere, aspettando la propria esecuzione. Il racconto in una scenografia che è prigione, è spiaggia, è aula di un tribunale, vede sempre in primo piano lo straniero, l’uomo privo di ogni convenzione sociale, di reazioni emotive, indifferente alla banalità della vita quotidiana, ora nel carcere algerino per aver ucciso, con quattro colpi di pistola, un arabo. Gli unici sentimenti che riesce a vivere sono quelli del vuoto e della solitudine e l’opera è di per sé il resoconto della sua vita, dalla morte della madre fino a quel momento. Mersault vive solo, si annoia, è un taciturno, si sente continuamente estraneo, i suoi rapporti con gli altri sono basati sulla totale indifferenza, perfino il funerale della madre, morta in un ospizio dove era ormai ricoverata da anni, sembra non scuoterlo e per questo viene condannato da un puntiglioso giudice che lo interroga dall’alto e tutto il processo sembra ruotare intorno alla sua indifferenza, all’incapacità di piangere al funerale della madre, al film di Fernandel che ha visto con la sua amante Maria, il giorno dopo. Nell’adattamento di Marco Baliani si pone in risalto, attraverso il personaggio di Mersault, l’incapacità di comunicare e la tendenza a giudicare e a condannare senza saper ascoltare ed è quello che accade al protagonista, estraneo anche al processo che si svolge attorno a lui. Lui si limita ad osservare, a tentare di capire, come un qualsiasi spettatore, dietro il banco degli accusati, il suo processo. E viene condannato alla ghigliottina, che è poi la condanna dell’indifferenza che affligge l’uomo moderno.
dal sito www.dramma.it
C’è un profondo pessimismo, tradito da un atteggiamento di passiva indifferenza, nel Mersault, protagonista dell’adattamento di Marco Baliani di uno dei testi più inquietanti e coraggiosi del Novecento di Albert Camus, “Lo straniero”, pubblicato nel 1942 e che affronta senza mezzi termini il problema del non-senso della vita, dello smarrimento esistenziale dell’uomo moderno. La pièce, con coraggiosa ed intelligente operazione, è stata portata in scena dal Piccolo Teatro di Catania, con il progetto e la regia di Gianni Salvo e con i costumi di Oriana Sessa, fa penetrare lo spettatore nel dramma di un uomo che è poi l’uomo moderno, afflitto da mille contraddizioni, distratto da mille cose, mai sicuro. La scena, prigione dell’anima, ben rende l’idea della sofferenza, dell’inquietudine del protagonista Mersault, autore di un omicidio senza un movente plausibile, che trascorre in carcere l'attesa della propria esecuzione. In un atto unico, nell’adattamento di Marco Baliani, lo spettacolo rilegge il testo di Camus a ritroso, partendo dalla fine, dall’ultima notte del confuso Mersault, in carcere, aspettando la propria esecuzione. Il racconto in una scenografia che è prigione, è spiaggia, è aula di un tribunale, vede sempre in primo piano lo straniero, l’uomo privo di ogni convenzione sociale, di reazioni emotive, indifferente alla banalità della vita quotidiana, ora nel carcere algerino per aver ucciso, con quattro colpi di pistola, un arabo. Gli unici sentimenti che riesce a vivere sono quelli del vuoto e della solitudine e l’opera è di per sé il resoconto della sua vita, dalla morte della madre fino a quel momento. Mersault vive solo, si annoia, è un taciturno, si sente continuamente estraneo, i suoi rapporti con gli altri sono basati sulla totale indifferenza, perfino il funerale della madre, morta in un ospizio dove era ormai ricoverata da anni, sembra non scuoterlo e per questo viene condannato da un puntiglioso giudice che lo interroga dall’alto e tutto il processo sembra ruotare intorno alla sua indifferenza, all’incapacità di piangere al funerale della madre, al film di Fernandel che ha visto con la sua amante Maria, il giorno dopo. Nell’adattamento di Marco Baliani si pone in risalto, attraverso il personaggio di Mersault, l’incapacità di comunicare e la tendenza a giudicare e a condannare senza saper ascoltare ed è quello che accade al protagonista, estraneo anche al processo che si svolge attorno a lui. Lui si limita ad osservare, a tentare di capire, come un qualsiasi spettatore, dietro il banco degli accusati, il suo processo. E viene condannato alla ghigliottina, che è poi la condanna dell’indifferenza che affligge l’uomo moderno.
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